Il restauro del castello di Salerno: riflessi e valenze paesaggistiche
L’acquisizione del castello da parte della Provincia, avvenuta nel dicembre del 1960, rappresenta il primo passo significativo per l’avvio di una politica di tutela e valorizzazione del complesso fortificato, diventato proprietà privata dal 1815.
Interventi parziali di restauro, nel 1982, consentono l’apertura al pubblico dell’area di ampliamento aragonese, che riconsegna per la prima volta il castello alla città ed alla fruizione collettiva.
Il progetto complessivo di completamento del restauro, avviato nel 2000, ne ha consentito il recupero funzionale con il recupero completo delle sue componenti architettoniche e la riqualificazione dell’intera area, mirando, anzitutto, alla restituzione della più ampia leggibilità delle qualità architettoniche della struttura fortificata, oggetto di continui ampliamenti ed adattamenti dettati dal susseguirsi dei governi nel periodo storico della sua funzione difensiva e dall’imporsi delle nuove tecniche militari.
La conformazione irregolare del complesso fortificato, che manifesta il chiaro adattamento all’orografia del sito, all’avvio dei lavori, risultava pressoché illeggibile. Partendo dal ritrovamento del livello di frequentazione del fossato e da quello della zona antistante il nucleo più antico del castello, la turris maior, è stato possibile realizzare il collegamento tra il livello di protezione posto a sud e quello a quota alta, rendendo pensabile la tracciabilità di un percorso di visita coerente e funzionale. Tracciabilità che, ispirata ai principi della visibilità, si è concretizzata avvalendosi dell’inserimento di nuovi elementi funzionali realizzati con materiali moderni, come scale, passerelle e protezioni, che permettono al visitatore di rimanere costantemente in contatto con i caratteri tipologici della struttura.
La realizzazione di un ascensore, che conduce ai livelli intermedi, annegato nel volume di una preesistente cisterna in prossimità dell’attuale ingresso, completa la ricerca di questa tracciabilità rivolta alla promozione della conoscenza diretta e della comprensione fisica dei valori storici ed ambientali intrinsecamente contenuti nell’architettura restaurata.
Un’architettura intessuta con materiali e tecniche costruttive che, affiancandosi e sovrapponendosi in interventi di ispessimento in pianta e di accrescimento in elevato, attesta, a partire dall’originario impianto bizantino realizzato in opera quadrata con blocchi di tufo grigio, un susseguirsi di interventi fino al periodo angioino-aragonese.
Una siffatta stratificazione ha imposto, per l’attendibilità della natura filologica del restauro, una diversificazione degli interventi che, grazie all’ausilio di strumenti scientifici di indagine, è stata curata dalla calcimetria fin nella composizione granulometrica degli inerti contenuti nelle malte e nei battuti, per restituire e rendere percepibile la complessità storica ammagliata nella tessitura della struttura architettonica, obbligata per funzioni, a seguire e contenere le declinazioni delle diverse forme difensive.
Un’architettura fortificata è di per se giacimento di informazioni relative al sistema difensivo; anzi, quest’ultimo vi è contenuto in forma di grammatica costruttiva. Da qui l’esigenza primaria della conservazione, pur essendo il progetto di restauro orientato verso la ricerca del riuso possibile.
La predominanza del sito è l’elemento affiorante per eccellenza; è immediatamente percepibile per la singolare visuale prospettica che apre sulla città e sul golfo. L’indiscutibile suggestione del panorama che si offre agli occhi del visitatore è il fondamento della sua concezione: controllo, avvistamento e difesa necessitavano di un posto dominante e inaccessibile. La tecnica costruttiva e gli elementi difensivi, poi, hanno trovato il loro sviluppo adattandosi alla configurazione del sito scelto per la sua qualità di predominanza. Certo, l’installazione e gestione del cantiere insieme al trasporto dei materiali doveva essere cosa non semplice; importante, però, in un sistema storico di difesa a scala territoriale, era fortificare per denotare e rappresentare il proprio territorio. In pratica, chi arrivava a Salerno era facilmente visto dal castello e ancor più facilmente vedeva il castello che gli segnalava una città ben fortificata, racchiusa tra le mura di cinta che da esso si diramavano fino al porto.
Le illustrazioni che corredano il poema di Pietro da Eboli, Liber ad honorem Augusti, della fine del XII secolo (fig.2), incentrato sulla prigionia a Salerno dell’imperatrice Costanza D’Altavilla, messa al sicuro prima nel castello e poi presso il Palazzo Terracena, sede politico-governativa della città normanna, mostrano questo sistema di mura merlate nella caratteristica triangolazione dell’abitato, già riportato sul follaro fatto coniare da Gisulfo II.
L’intero percorso della lizza difensiva cinquecentesca, spazio tra la prima e la seconda cinta muraria chiamato fossato, è stato recuperato alla visitabilità con la rideterminazione e pavimentazione del livello di calpestio, eseguita con pietra locale di piccola e media pezzatura secondo la tipologia costruttiva e con interventi di risanamento, bonifica e consolidamento delle zone più compromesse dell’elevato. L’intervento ha altresì interessato il restauro delle fuciliere e dei vani arcuati delle cannoniere; questi ultimi in precarie condizioni statiche.
Con lo stesso metodo, che ha caratterizzato l’intervento di restauro sostanzialmente come intervento manutentivo, sono stati recuperati i paramenti murari della zona antistante la turris maior, gravemente compromessi per l’aggressione degli agenti patogeni e l’azione erosiva del vento, procedendo all’ancoraggio delle rimanenti superfici intonacate ed affrescate e liberando dall’occlusione muraria l’antico accesso della porta ogivale con recupero e ricollocamento nella sede originaria del telaio ligneo della porta. Disposta la messa in sicurezza delle murature con il restauro di tutti gli elementi già evidenziati da uno scavo archeologico, quali strutture tombali, acquasantiera, forni, canalizzazioni per la raccolta delle acque meteoriche, è stato eseguito un accurato studio delle quote di definizione del piano di calpestio, cancellato dallo scavo archeologico, per collegare, senza introdurre artificiosità, gli elementi strutturali prospicienti l’area interessata.
È stata, quindi, collegata la turris maior all’antistante terrazzo, caratterizzato dal camminamento di ronda, e questo alla mezzeria del fossato, creando l’accesso alle postazioni coperte, poste a quota inferiore, in prossimità di detto terrazzo.
L’idea di costruire una maglia narrativa orientata alla divulgazione dell’architettura recuperata per la promozione culturale del sito e più complessivamente del territorio è andata sempre più delineandosi come opportunità di rifunzionalizzazione.
Partendo dall’ipotesi di voler costruire una traccia multimediale basata sul montaggio digitale delle immagini e sulla strutturazione di una banca dati di ipertesti multimediali, consultabili dal visitatore secondo livelli di approfondimento differenziati, che personalizzano il percorso di visita, sono state individuate le diverse postazioni per la consultazione e le aree destinate ad accogliere la sezione percettivo-emozionale, che utilizza immagini statiche ed in movimento, ricostruzioni degli ambienti in 3D, musiche, testi graficizzati e narrati ed animazioni.
Per le stesse finalità, ovvero per favorire la più ampia fruizione in sicurezza, sono stati adeguati i vari impianti del museo del castello: spazio espositivo dei reperti provenienti dagli scavi eseguiti sul sito, già aperto al pubblico con i richiamati lavori del 1982.
La rifunzionalizzazione della sala convegni, sovrastante il museo, in sala polifunzionale destinata ad auditorium e sala conferenze, avvalendosi di una sofisticata progettazione acustica e di apparecchiature idonee ad assicurare lo svolgimento di video e teleconferenze, amplia il progetto di riuso complessivo, qualificatosi come progetto della comunicazione.
Rileggendo l’elemento di dominanza del castello sull’abitato e sul golfo, che lo rendeva vigile controllore di pericoli in agguato e silenzioso osservatore dei miracoli culturali, che grazie al mare, si realizzavano nella città, stigmatizzandosi nello splendore raggiunto dalla Scuola Medica Salernitana, così legata all’immagine sacra di Santa Caterina Alessandrina e, partendo dall’affresco ritrovato, si è voluto fare di questo spazio, con le tecnologie comunicative introdotte, il luogo privilegiato di promozione, diffusione e scambio delle attività culturali della città.
In fondo, il riuso proposto opera una semplice polarizzazione della vita politico-culturale della città verso il complesso recuperato quale riferimento storico di grande qualificazione e connotazione del territorio di Salerno.
La sua imponenza architettonica e la sottostante organizzazione urbanistica del centro storico, sviluppatasi, proprio per la presenza del castello, come continua riedificazione e ristrutturazione dell’originario impianto che si limitava ai piedi della collina, lo rende, sul piano della percezione visiva, un elemento di forte impatto.
Ancora più spettacolare la veduta che si dipana dalla torre “Bastiglia”; da qui, infatti, era osservabile, in funzione difensiva, anche il territorio che volge verso Cava dei Tirreni, alle spalle del castello.
Il restauro della torre “Bastiglia”, improntato ai principi già illustrati, inaugura anche la nuova tematica del recupero di un percorso botanico di collegamento con il castello. La vegetazione spontanea, sempreverde, appartenente alla macchia mediterranea, che ricopre la collina, fiancheggia il sentiero storico che la collega al castello, che, recuperato con tecniche di ingegneria naturale, arricchisce il percorso di visita con totem d’informazione botanica e con la cartellinatura delle specie.
Lo studio botanico eseguito si propone come strumento didattico per conoscere l’ambiente naturale, allargando il laboratorio di esercitazione delle conoscenze storico-culturali e paesaggistiche offerto dall’intero sito.